Palazzo Clerici (#178)
Uno dei massimi esempi di dimora patrizia milanese, fu fatto edificare all’inizio del Settecento dal maresciallo Giorgio Antonio Clerici, marchese di Cavenago, ampliando un edificio già esistente nel cuore della vecchia Milano, in quella che nel Seicento era detta “Contrada del prestino dei Bossi”. Il Palazzo, che si elevava in un tessuto urbano fatto di piccole case, apparteneva a una delle più antiche casate storiche milanesi, la famiglia Visconti dei Consignori di Somma.
Durante il passaggio dal barocco al neoclassico, Milano visse un’epoca di splendore edilizio. La dominazione austriaca teneva in gran considerazione la nobiltà locale, a cui spesso affidò il governo interno del Ducato e i Clerici ne approfittarono per consolidare la propria influenza. Segno tangibile di prestigio, Palazzo Clerici divenne una delle dimore settecentesche più lussuose e fastose di Milano.
Giorgio Antonio Clerici, che fu il membro più illustre della casata, nel 1741 affidò a Giovanbattista Tiepolo l’incarico di decorare la volta della galleria di rappresentanza del Palazzo, la cosiddetta Galleria del Tiepolo. Il modello a cui ambiva Giorgio Clerici nell’adeguamento dell’abitazione di famiglia voleva ostentare un cerimoniale molto vicino a quello di una corte principesca, del tutto confacente al ruolo ormai acquisito dalla famiglia in seno all’apparato amministrativo imperiale.
L’assetto di Palazzo Clerici si doveva infatti distinguere nettamente dalle dimore dell’aristocrazia milanese, per diversi elementi: la maggiore complessità interna, la più elevata specializzazione funzionale, la singolare moltiplicazione di gallerie destinate a ricevimenti pubblici e all’esposizione di oggetti d’arte.
Tuttavia nel 1768, alla morte del marchese, il patrimonio della famiglia era praticamente dissipato. Il Palazzo, con tutti gli arredi, passò a Francesco Clerici, membro del ramo secondario della casata, che nel 1772 lo affittò all’arciduca Ferdinando d’Austria e alla moglie Beatrice d’Este, rappresentanti dell’imperatrice di Vienna nel ducato di Milano. I nobili ospiti vi rimasero fino al momento in cui si trasferirono a Palazzo Reale.
Durante la permanenza dell’arciduca Ferdinando d’Austria, il Palazzo fu oggetto di una nuova distribuzione interna alla quale rimangono tuttora legate le denominazioni di alcune delle sale più sontuose e riccamente decorate del Palazzo come il Boudoir e la camera da letto di Maria Teresa.
Nel 1813 il Palazzo fu venduto al governo napoleonico del Regno d’Italia, divenne sede della Corte d’Appello nel 1862 per poi passare all’Ispi nel 1942.
La Sala da Ballo
La Sala da Ballo al piano nobile del palazzo era vista come una sala di rappresentanza all’epoca della sua costruzione, luogo ove la famiglia Clerici teneva i suoi ricevimenti. La sala, particolarmente alta (tocca l’altezza di due piani), era il biglietto da visita della famiglia rispetto agli ospiti, con finestroni su ambo i lati e con due cantorie per i musici che potevano accedervi tramite delle scale nascoste. La grande volta è dipinta con la tecnica del chiaroscuro e presenta un motivo a foglie.
La Sala venne pesantemente restaurata nella seconda metà dell’Ottocento quando il palazzo divenne sede del Tribunale di Terza Istanza e poi dell’archivio generale del tribunale. Nel 1873, dopo un crollo parziale del soffitto, si pensò di dividere la sala in due piani, col primo adibito ad uffici ed il secondo a deposito dei documenti. La sala venne riportata per quanto possibile al suo aspetto originario nel periodo compreso tra le due guerre mondiali per intervento dell’architetto Giuseppe Dotti, a cui fece seguito un secondo restauro compiuto nel 1966 dall’architetto Luigi Gorgoni de Mogar.
Galleria degli Arazzi (Galleria del Tiepolo)
Nel 1740 venne affidato al Tiepolo il difficile compito di decorare un ambiente estremamente dilatato in lunghezza. Il bozzetto, eseguito probabilmente prima che il pittore avesse preso visione diretta degli spazi della sala, mostra che nell’elaborazione della “prima idea” il Tiepolo non aveva considerato il vistoso squilibrio tra la lunghezza e la larghezza della galleria.
Nella stesura definitiva, frutto di una complessa eleborazione progettuale documentata attraverso numerosi studi grafici, il pittore dovette incrementare, intorno al carro del Sole preceduto da Mercurio, la quantità dei gruppi figurali di personaggi mitologici, dislocandoli su piani diversi sullo sfondo del cielo striato da nubi bianche e rosate, e aggiungendo lungo i bordi altre divinità marine e fluviali, e le allegorie delle Arti e delle quattro parti del mondo allora conosciute (l’Europa, l’Africa, l’Asia, le Americhe, con i loro animali- simbolo, rispettivamente il cavallo, l’elefante, il cammello e il coccodrillo), occasione per gli sfoggi di eleganze pittoresche e curiosità esotiche ricorrenti nella sua pittura e care al cosmopolitismo settecentesco.
Nella vastissima composizione, oltre i massicci elementi architettonici relegati ai margini, lo spazio si allarga e sprofonda con un artificio prospettico-illusionistico costruito sull’intensità digradante dei colori, sulla luminosità del cielo, sul virtuosismo compositivo nella disposizione dei gruppi (bellissimo, e meritatamente famoso, quello di Venere e Saturno).
Ci troviamo di fronte a una diretta anticipazione, nei contenuti iconografici e nelle scelte formali, dell’impresa pittorica assai più imponente della sala imperiale e dello scalone del Vescovado di Würzburg (1750-52), uno dei vertici assoluti del rococò europeo.